Come si ascolta il bambino nel pancione e dopo

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  1. *Altair*
     
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    8. L’ascolto attivo nella comunicazione prenatale


    Il bambino comunica se si sente amato.
    Si sente amato quando si sente accettato.
    Si sente accettato quando si sente capito.
    Si sente capito quando si sente ascoltato.
    Si sente ascoltato
    quando la sua mamma sente quello che lui sente
    e glielo dimostra
    Se il bambino si sentirà ascoltato, capito, e accettato,
    allora si sentirà anche amato
    e accetterà di comunicare.

    G. A. Ferrari


    Molti hanno scritto sull’ascolto. In questo contesto mi rifarò principalmente a Thomas Gordon perché anche se non si è mai riferito alla relazione prenatale, il modo con cui tratta questa tematica e quelle relative all’educazione dei bambini, è semplice e di facile integrazione ed applicazione per i genitori.
    Nell’esposizione che segue, partendo dagli studi e dalle classificazioni di Gordon, ho trasposto nella relazione tra madre e bambino, genitori e bambino, durante la gestazione quanto egli dice in generale sull’ascolto e la comunicazione.
    Nei corsi di preparazione al parto ho iniziato, dapprima molto timidamente e con poche coppie, a proporre questo tipo di lavoro negli incontri dedicati alla promozione del dialogo e della comunicazione psicotattile tra madre e bambino, genitori e bambino: il riscontro che ho ricevuto è stato così positivo che ho continuato inserendo una Pedagogista nel team dei docenti, dove già mi aiuta parecchio anche una Psicologa, e perfezionando quindi ulteriormente questo lavoro. Mi sono così resa conto che, come la Psicologia, anche la Pedagogia poteva trovare molte utili e significative applicazioni nell’ambito del Prenatale.
    Ho potuto aiutare i genitori ad impostare ed avviare da subito una buona qualità di comunicazione con il loro bambino, promuovendo la nascita di una relazione già discretamente bene allineata con quanto fino ad oggi è stato scoperto in questi campi: una relazione già bene impostata anche per il futuro, quando essi dovranno cimentarsi nella comunicazione con il figlio che cresce e interagisce sempre di più con loro.
    Il tipo di relazione che essi creeranno con lui durante la gestazione, sarà basilarmente il medesimo che manterranno in seguito. Se avranno lungamente sperimentato e imparato, attraverso le esperienze prenatali di contatto con lui, come ascoltare e rispondere al loro bambino e quali atteggiamenti impediscono la comunicazione e non lo fanno sentire capito, non lo dimenticheranno mai più.
    In queste esperienze e nel lavoro di gruppo, viene dato molto rilievo al concetto di “rispetto del bambino” in quanto persona avente anche diritti, il primo dei quali è quello d’essere se stesso e di essere ascoltato, capito, accettato per se stesso ed amato così com’è, ricevendo adeguati feedback ai suoi segnali, positivo apprezzamento nelle sue iniziative, senza forzarlo per fare meglio o di più, e fiducia nelle sue potenzialità, che il genitore deve semplicemente aiutare ad emergere e sostenere nel corso della sua vita sin dal periodo prenatale. Viene sottolineata, ad esempio, l’importanza di gratificare il bambino, lodandolo e incoraggiandolo dopo e durante i vari giochi di spostamento nell’utero; di assecondarlo se decide di fare un percorso o un gioco diverso da quello proposto; di usare un approccio alla comunicazione propositivo e non invasivo, molto semplice e sicuramente alla sua portata, graduale in termini di quantità di tempo in cui s’impegnerà se si tratta di un gioco, attento alle sue prime risposte di gradimento o di rifiuto e rispettoso delle reali capacità di interazione che il bambino dimostra, cioè senza avere aspettative o spingere perché s’impegni maggiormente… etc.
    Anche se fino ad ora nessuno, che io sappia, ne ha mai parlato o ha provato ad applicarla concretamente alla relazione prenatale, ritengo che in questo periodo la Pedagogia s’innesti in modo assolutamente naturale nella vita della triade genitori bambino. Questo innesto ha il vantaggio di possedere le caratteristiche della circolarità: infatti essa, inserendosi in un rapporto triunivoco, è formatrice anche dei genitori, migliorando la qualità della loro comunicazione e della loro stessa relazione, apportando benefici non solo al bambino ma anche al clima familiare.
    Non c’è comunicazione senza ascolto. Per la comprensione profonda di ciò che sente l’altro occorre fare in noi stessi un preliminare silenzio mentale e, subito dopo, sintonizzarsi sul filo delle sue emozioni e portarle in noi stessi, farle risuonare dentro di noi.
    Questo tipo di ascolto emotivo è precisamente quello che occorre attivare quando si desidera capire cosa sta succedendo in chi è di fronte a noi, sia esso un adulto o un bambino, non fa differenza.
    Però, mentre dall’adulto e dal bambino in grado di verbalizzare, possiamo ricevere degli aiuti alla comprensione attraverso il dialogo verbale e l’osservazione degli atteggiamenti corporei, nel caso specifico del bambino intrauterino, che è nascosto, non sa verbalizzare ed è un concentrato di emozioni e di sensazioni allo stato puro, questo tipo di ascolto emotivo è praticamente il solo strumento di comprensione e di comunicazione che abbiamo.
    Ciò che impedisce a molte persone di riuscire ad attivare questa modalità d’ascolto per comprendere l’altro, e quindi per comunicare con lui, è la paura, in generale, di vivere delle emozioni, oppure il timore di non riuscire a cogliere, far proprie ed interpretare correttamente l’emozione e il sentire dell’altro.
    Tutto ciò che si ricollega alla paura chiude e contrae. L’atteggiamento di ascolto, al contrario, è invece identico a quello di apertura e abbandono che si produce tra due innamorati. Infatti, nell’innamoramento l’ascolto avviene quando si aprono reciprocamente le vie del cuore, la neocorteccia è come disattivata, l’attività emotiva prevale su quella razionale che si spegne, la mente tace ed avviene un’espansione di accoglienza incondizionata dell’altro.
    La regressione infantile, di cui beneficia la donna-madre in gravidanza, amplificando la sua sensibilità emotiva, la pone nella condizione privilegiata e ideale per attivare facilmente in se stessa l’ascolto attivo-emotivo del suo bambino.
    Dei cambiamenti nella sensibilità emotiva avvengono, con modalità diverse, anche nel padre: le variazioni ormonali che, come abbiamo già detto, si producono in lui nel corso della gestazione, avviano in lui quel processo di “maternalizzazione” che gli faciliterà l’entrata in contatto e la comunicazione con il figlio nel pancione. Ho visto moltissimi uomini emozionarsi fino alle lacrime mentre rispondevano ai segnali del loro bambino e diventare, per il rimanente tempo della gestazione, ed anche in seguito, padri sensibilissimi ed empatici con il figlio.
    Penso che la gestazione sia un momento privilegiato della nostra vita che occorre utilizzare al meglio cercando di capire, accogliere, assecondare ed integrare tutti i suoi processi. Se vissuta in tutta la ricchezza delle sue sfumature e delle opportunità di sperimentazione e di cambiamento che essa offre, sarà un’esperienza di apprendimento, di grande crescita per entrambi i genitori e di arricchimento per la coppia.
    La comunicazione e il dialogo prenatale sono una componente naturale della gestazione, però molti non lo sanno e non se ne occupano. Perdono così una delle più belle e importanti occasioni della loro vita per far fare un giro di boa alla loro vita emotiva e relazionale.
    Vi esporrò qui di seguito alcuni concetti preliminari di base per la promozione della comunicazione prenatale.
    C’è comunicazione fra le persone quando esse interagiscono con empatia dagli stessi piani:
    a) ad un messaggio tattile del bambino, occorre rispondere con un messaggio tattile (accompagnato o non da una verbalizzazione), seguito dall’ascolto emotivo;
    b) ad un messaggio psichico del bambino la madre può mantenere un silenzio verbale e non attivare messaggi tattili, però occorre che risponda internamente al bambino: in assenza di un messaggio psicoemozionale materno, il bambino non si sentirà ascoltato e interpreterà come “silenzio” il comportamento materno.

    Gordon descrive quattro diversi modi di ascoltare:
    1) L’ascolto passivo è una modalità di ascolto che già presenta molte problematiche fra gli adulti, figuriamoci con un bambino! L’assenza di messaggi tattili, verbali e psicoemozionali, il silenzio, viene interpretato dal bambino prenatale come mancanza di ascolto da parte della madre.
    2) Cenni di attenzione, verbali o non verbali. Il bambino prenatale è in grado di ricevere queste risposte ai suoi messaggi: si tratta di segnali con il tocco della mano, oppure carezze o anche l’abbraccio. Oppure ancora di brevi verbalizzazioni “Sì, ti sto ascoltando”, “Ti ho sentito”, etc. sempre però accompagnate dal tocco.
    3) Espressioni verbali facilitanti che, con il bambino prenatale, debbono anch’esse venire accompagnate dal tocco della mano “Sono molto interessata a ciò che mi stai comunicando”, “Vorresti dirmi qualcosa di più?”, “Sono molto attenta a tutto quello che dici”, etc.
    4) L’ascolto attivo, che consiste nell’attivazione di un atteggiamento di percezione di ciò che l’altro sente; un ascolto che si produce sintonizzandosi psichicamente ed emotivamente sui sentimenti e sulle emozioni dell’altro, eseguendo poi una verifica interpretativa dell’emozione raccolta e infine inviando un adeguato feed-back, in cui l’emozione e il sentimento “ ascoltato “ viene rimandato al trasmittente.
    Come vedremo, nella relazione prenatale all’ascolto dei messaggi del bambino segue spesso un’azione della madre risolutiva dell’eventuale disagio trasmesso (quando, per esempio, un bimbo dimostra agitazione nei confronti di una situazione la madre è giusto che elimini quella fonte di disturbo) oppure enfatizzante del piacere dimostrato (se un bambino, ad esempio, manda segnali di riconoscimento gioioso del padre quando rientra a casa, la madre può aumentare la sua gioia segnalando ciò al compagno e invitandolo ad accarezzare il pancione parlando al bambino).

    Come funziona nella pratica l’ascolto attivo nella relazione prenatale?

    Quando l’iniziativa alla comunicazione è presa dal bambino.
    Il bambino è in grado di inviare messaggi psichici o fisici alla madre. In questo contesto accennerò, per ora, solo a quest’ultimo aspetto. Il bambino, a seconda della sua età gestazionale, e delle sue dimensioni corporee rispetto all’ambiente uterino, compie diversi tipi di movimenti, ma la madre di solito percepisce più chiaramente quelli degli arti inferiori (calcetti, allungamenti, stiramenti), i dondolamenti, gli spostamenti e i sussulti del singhiozzo.
    Ammettiamo che la madre avverta dei movimenti scoordinati, che sembrerebbero esprimere agitazione.
    Per prima cosa essa, ponendosi in un atteggiamento di silenzio mentale, si sintonizzerà sulla sfera emozionale del bambino ascoltandolo con l’udito del cuore, per potere sentire ciò che lui sente (per l’attivazione dei canali psichici dell’ascolto vd. a pag. 73).
    Poi proverà ad interpretare l’emozione che sta dietro il segnale: agitazione? Insofferenza? Impazienza? Ansia? Paura?...
    Invierà un primo feed-back di verifica al bambino accarezzandolo “Mi sembri agitato”.
    Si chiederà quale sia la causa dell’agitazione: forse è l’ambiente rumoroso in cui si trovano entrambi. La madre, verificherà la correttezza della sua interpretazione spostandosi in un luogo più tranquillo. Se il bambino si calmerà, significa che era veramente insofferente a quei rumori. Starà meglio e si sentirà capito da sua madre.
    Può essere, invece, che il bambino mantenga attivo il segnale di agitazione “Sei ancora agitato”. Ci può essere un’altra causa che poco alla volta la madre potrebbe trovare, procedendo per tentativi. Forse a quell’ora essa lo portava a fare una passeggiata e il bambino dà segni d’impazienza. Forse il bambino ha avuto paura o è insofferente di qualche cosa che la madre ignora….
    Quando non si riesce a trovare la soluzione all’irrequietezza di un bambino prenatale, la madre dovrebbe analizzare i suoi contenuti mentali e le sue emozioni.
    In ogni caso, rassicurarlo accarezzandolo e cullandolo è sempre un buon deterrente per tutti gli stati emotivi del piccolo.
    Il dialogo e la comunicazione prenatale partono proprio da queste prime esperienze di ascolto attivo tra madre e bambino.
    Ben presto la gestante imparerà a distinguere tra movimenti ripetitivi da singhiozzo o da auto-dondolamento e manifestazioni d’agitazione o di contentezza, tra segnali che indicano bisogno d’attenzione e di coccole o espressioni d’interesse, di simpatia, di riconoscimento, così come, altre d’antipatia e d’insofferenza.

    Quando l’iniziativa alla comunicazione è presa dal genitore.
    L’approccio per l’avvio del dialogo dovrebbe essere propositivo (“Hai voglia di giocare un po’ con me?”, “Ti va di farci le coccole?”) mai invasivo (“Su, svegliati, giochiamo insieme”, “Adesso ci facciamo tante coccole”), sopratutto rispettoso delle risposte del bambino. Se, per esempio, non risponde all’invito occorre ritirarsi e riprovare più tardi.
    Quando il bambino è sveglio e risponde muovendosi in risposta al vostro segnale di invito, allora potete proseguire il dialogo proponendogli le esperienze che sono indicate in questo libro, od altre che potrete scegliere di volta in volta, anche in base a ciò che state vivendo e che vi circonda.
    Se per esempio vi trovate al mare, vicino ad un fiume, un ruscello, un lago, non perdete questa bella occasione per fargli ascoltare il suono delle onde e, più in generale, quello dell’acqua, muovendola con i piedi, con un bastone, tirando un sasso etc. Parlate quotidianamente con lui, raccontategli cosa state facendo o dove state andando. Fatelo partecipare degli eventi famigliari.

    Le barriere alla comunicazione.
    Elenco qui di seguito, solo a titolo d’esempio, alcune barriere alla comunicazione e al dialogo prenatale. Per quanto incredibile possa sembrare ad alcuni di voi, le frasi riportate più sotto sono state da me registrate nel corso di alcuni incontri con i genitori, prima che fossero loro forniti strumenti di Pedagogia e Psicologia della comunicazione. Da esse potrete trarre molte utili informazioni su come non ci si deve comportare con un bambino.
    - ORDINARE, COMANDARE, ESIGERE:
    - “Smetti di agitarti”
    - “Rispondi al papà”
    - “Su, coraggio, segui la mia mano…dai, cosa aspetti?”
    - “Ho già tutto programmato: niente tetta alla notte altrimenti passo al bibe”(la bottiglia).
    - MINACCIARE:
    - “Se non mi rispondi non ti parlo più”
    - “E’ cocciuta! Mi sa che faremo dei bracci di ferro noi due!...”
    - RIMPROVERARE, FARE LA PREDICA:
    - “Sono già al sesto mese: dovrebbe essere più comunicativo…”
    - “Svegliati, non va bene che tu dorma così tanto, dopo mi dai i calcetti la notte e mi svegli…” ( Il bambino non rispondeva)
    - CONSIGLIARE, SUGGERIRE, DARE SOLUZIONI:
    - “Lo tengo sveglio di giorno così dorme di notte” (Mamma al nono mese: il bambino si muoveva di notte e la svegliava. Durante il giorno lei lo iperstimolava per tenerlo sveglio.)
    - “E’ più bello se sali su”(Il bambino non si voleva spostare dal fondo dell’addome e la madre insisteva perché salisse verso il suo cuore)
    - FARE ARGOMENTAZIONI LOGICHE AMMONENDO:
    - “Questa musica mi piace, è bellissima… non ha senso che lui si agiti ogni volta che la sente”
    - CRITICARE, UMILIARE, INCOLPARE:
    - “Si agita troppo”
    - “E’ pigro”( non si muoveva)
    - “E’ lui che mi ha fatto star male per tre mesi…”
    - “…ma come è incerto!...” (Il bambino si spostava esitando)
    - DEFINIRE, PARAGONARE, ETICHETTARE:
    - “Sei ansioso come me”,
    - “E’ un bambino agitato come il suo fratellino”
    - “Sono fortunata, sento che è un bambino pacifico: tutto suo padre!”
    - “E’ un gran dormiglione…chissà da chi ha preso?”
    - ANALIZZARE, DIAGNOSTICARE:
    - “Vuole farmi i dispetti” (Il bambino aveva interagito con lei ma non rispondeva al padre)
    - “Di notte non vuole farmi dormire” (Una mamma alla trentaduesima settimana)
    - “Io faccio solo bimbi calmi” (Si tratta di una madre di tre figli)
    - METTERE IN DUBBIO, CONTESTARE:
    - “Non è giusto che questa qui non si volti! Io ho paura del cesareo!... “ (Mamma di bambina podalica).
    - FARE DEL SARCASMO, DELLO SPIRITO, RIDICOLIZZARE:
    - “Ma sentitelo, come vuole farsi notare”
    - “Hai il singhiozzo perché non hai niente di meglio da fare tutto il giorno”
    - PASSARE DA UN TIPO DI COMUNICAZIONE AD UN ALTRO INTERROMPENDO QUELLA IN ATTO, cioè iniziare un gioco o una verbalizzazione e interromperla passando ad altro.

    Entrare nell’ottica di servirsi dell’ascolto attivo con il proprio bambino utilizzandolo come una mera tecnica che si possa comunque applicare, non è corretto. Chi vuole riuscire a sentire le emozioni dell’altro, deve avere prima imparato a sentire la proprie, a riconoscerle, a dare loro un nome, ad esprimerle e a rispettarle. Le madri sono molto facilitate in ciò grazie alla loro accresciuta sensibilità emotiva e alle loro capacità intuitive, ma queste abilità, che consentono loro di entrare in empatia con il figlio, non sono sufficienti: occorre anche impostare la relazione, che è lo spazio in cui si muove la comunicazione tra i due.
    Questo è il grande lavoro e il nuovissimo compito della Psicologia e della Pedagogia: la formazione dei genitori in gestazione e il sostegno nella promozione di una relazione “sufficientemente” buona con il loro bambino prenatale, in modo da creare una piattaforma di base sulla quale si muoverà e si articolerà, dopo la nascita, la relazione futura.

    Propongo qui di seguito alcuni pensieri costruttivi che le mamme possono verbalizzare o inviare mentalmente al loro bambino mentre lo cullano o comunicano con lui:

    “Tu sei unico…nessuno è, o sarà mai, uguale a te…io amo questa tua unicità…amo e accetto la tua diversità…ti amo totalmente come sei e come sceglierai di essere…”

    “Non ho progetti su di te…non ho aspettative…ti accolgo e ti amo perché sei il mio bambino…”

    “Il mio compito è quello di aiutarti ad essere ciò che sei nel profondo di te…ad essere te stesso…”

    “So che in te c’è un mondo di potenzialità che hanno bisogno di esprimersi… io ti sosterrò nelle tue iniziative per fare uscire tutte le cose meravigliose che sono in te…”

    “Hai il diritto di avere le tue idee, diverse dalle mie…anche se in futuro non riuscissi a condividerle, le rispetterò”

    “Tu sei un grande meraviglioso bambino …e io sento che in te c’è in potenza una grande meravigliosa persona…”

    “Sono felice che tu esista”

     
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  2. VIKTOIRE56
     
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    Carissima amica, ti scrivo da parte di mia mopglie che purtroppo non è tanto esperta in fatto di computer. Il suo problema è semplicemente questo: Il nostro bimbo non vuole saperne di stare tranquillo, scalcia giorno e notte, se ne sta tranquillo solo quando lei va in piscina, quando cammina o quando fa i lavori in casa. Appena lei si siede o cerca di rilassarsi, lui comincia a scalciarla da tutte le parti; si muove dappertutto, nonostante sia già arrivata alla 36esima setimana. Ha provato a calmarlo in tutti i modi, dalla musica alle carezze sulla pancia. Ma lui non sta tranquillo. Hai forse qualche altro suggerimento? Lei è arrivata al limite: non dorme più la notte e non puo certo camminare tutto il giorno. Grazie vittorio e alessandra
     
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  3. *Altair*
     
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    Ciao ragazzi!
    Che ridere la vostra lettera! Ma sai quante ne ricevo? Sembra che davvero tanti bambini oggi siano molto irrequieti. Ma tu Alessandra come sei? sei tranquilla? hai qualche ansia di sottofondo?
    Sai, quando vai in piscina magari lì ti rilassi sul serio. L'acqua ti contiene, ti sostiene, ti accarezza...lui, il tuo ranocchietto si gode anche lui tutta questa bella coccolata rassicurante che ricevi tu. Lui nell'acqua, tu pure, state facendo la stessa cosa insieme, tu sei felice e lui pure. Poi quando cammini, in fondo dondoli il tuo piccino e lo culli. Come mai è solo quando ti fermi che lui incomincia a fare i salti?
    Perchè non provi un paio di volte al giorno, di cui la seconda prima di coricarti, a dedicare un po' di tempo al tuo piccino, possibilmente sempre alla stessa ora ma solo quando senti che è sveglio. Stacchi il telefono e ti apparti con lui, magari nella tua camera da letto. Semiseduta, la schiena comodamente appoggiata ai cuscini, gli parli a voce normalmente alta, con amore, le mani appoggiate sull'addome. Batti due colpetti con la mano "Hai voglia di parlare un po' con me?" e aspetti che si muova. Quella è la sua risposta. Rispondi con due colpetti "Sì, ti ho sentito". Circonda l'addome con le braccia e ogni tanto accarezzalo: stai abbracciando e accarezzando il tuo bambino! Digli di stare tranquillo, che gli vuoi tanto bene, che sei felice che lui ci sia, che se anche lui ti sente a volte inquieta non è colpa sua e che non vedi l'ora di abbracciarlo davvero e dargli i bacini...digli tutte le cose carine che vuoi, rassicuralo e tranquillizzalo. Poi, cantagli una ninna nanna cullandolo. Deve essere sempre la stessa e deve sopratutto piacere a te.
    Vedrai che se il tuo bambino avrà almeno due, tre appuntamenti nella giornata in cui vedrà che la mamma è tutta per lui e saprà di essere coccolato, poco alla volta starà più tranquillo.
    Anche Vittorio potrebbe essere un elemento molto tranquillizzante per il vostro piccino:appoggia le mani sull'addome e parla anche tu al bambino avvicinando eventualmente la bocca al punto in cui ha la testa. Bacialo di tanto in tanto mentre lo coccoli. Digli di stare tranquillo, che va tutto bene e andrà tutto bene.
    Inoltre, Alessandra, sei sicura di non stancarti troppo al punto di stressarti? sai che se ti stressi tu si stressa anche lui! Adrenalina e catecolamine, gli ormoni dello stress, vanno dritti sparati al bambino ed entrano anche nel suo circolo.
    Ragazzi, coraggio! Genitori non si nasce! Lo si diventa poco alla volta.
    Tanti auguri affettuosi
    Gabriella Ferrari
     
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2 replies since 28/7/2005, 18:07   3438 views
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