L'esperienza prenatale:accettazione e rifiuto

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  1. *Altair*
     
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    1. L’esperienza prenatale: il bambino, la relazione, l’accettazione, il rifiuto


    Se un bambino
    durante i primi nove mesi della sua esistenza intrauterina
    è stato desiderato
    perché è stato concepito responsabilmente…
    durante la gravidanza ha ricevuto l’accettazione e la gioia materna
    perché era desiderato…
    è stato ascoltato
    perché i suoi genitori sapevano che era capace di comunicare…
    è stato capito
    perché è stato ascoltato…
    è stato accarezzato
    perché i suoi genitori sapevano che era sensibile…
    è stato accudito
    perché è stato desiderato, ascoltato, capito e coccolato …
    questo bambino, che è sempre stato accolto,
    nascerà e crescerà pensando di valere molto,
    si rispetterà e amerà se stesso,
    perché è sempre stato rispettato e amato
    sin dall’alba della sua esistenza,
    quando per la prima volta si è affacciato alla vita
    nel grembo di sua madre.
    G.A.Ferrari


    Negli ultimi decenni, gli studi sulla vita prenatale si sono straordinariamente moltiplicati come se la nuova era, ormai incominciata, esigesse che l’uomo dovesse ripercorrere tutto il suo cammino sin dall’inizio per rielaborarlo e riscoprirsi nella sua globalità.
    I vissuti nel grembo materno sembrerebbero essere quella tappa finale di studi a ritroso nel tempo e nell’evoluzione dell’uomo che, una volta ulteriormente ampliate le ricerche sul concepimento, ci porteranno ad interessarci maggiormente del preconcepimento, forse anche dell’anima e delle sue scelte, eventualmente aprendo nuovi contesti culturali in cui gli studi dell’ostetricia e della genetica potrebbero confluire negli immensi spazi della metafisica.
    Attualmente esiste un numero molto consistente di studiosi che indagano sulla vita prenatale e su tutte le tematiche ad essa connesse.
    I risultati sconvolgenti delle loro ricerche giungono, sempre più numerosi e ricchi di informazioni, da ogni parte del mondo.
    Questi studi, che presero il via soprattutto negli anni ‘60 e ‘70, successivamente si intensificarono, arricchendosi e perfezionandosi, grazie anche ai nuovi supporti della tecnologia medica.
    Si configurò gradualmente, tra gli anni 80’ e il 2000, il ritratto di un feto dalle caratteristiche nuove e meravigliose.
    Gli studi ancora più recenti, ormai già tradotti in molte lingue, ci hanno presentato un ritratto ulteriormente sconcertante ed esaltante del nascituro, mostrandoci una creatura radicalmente diversa da quella descritta, all’inizio del secolo scorso, dai testi medici e dalla stampa popolare.
    Questa nuova branca del sapere riguardante la vita intrauterina e le tematiche della comunicazione tra madre-bambino, genitori-bambino, durante la gravidanza è attiva ormai da tempo anche in alcune Università e qualche centro di ricerca del nostro paese.
    Ora non possiamo più ignorare che il bimbo intrauterino, solo da poco apparso così clamorosamente sulla scena del mondo in tutta la sua sorprendente realtà e in tutto il suo splendore, sia un essere sensibile e intelligente, le cui caratteristiche psicofisiche sono inscritte solo in parte nel suo patrimonio genetico sin dal concepimento. Partendo da quel primo istante vitale, esse, infatti, si sviluppano anche in base agli stimoli e prendono gradualmente forma nell’arco di tutta la gestazione e non successivamente alla nascita, come invece sostenuto sino a non molto tempo fa. Per esempio, l’intelligenza del bambino è dovuta per circa un terzo a fattori genetici e per due terzi è data dagli stimoli e dalle esperienze ambientali.
    Che il feto sia intelligente e sensibile è ormai un dato di fatto, confermato da numerose e svariate ricerche sulle sue capacità di apprendimento e sulle sue risposte a stimoli e situazioni diverse.
    Per esempio, si può constatare una chiara intenzionalità gestuale già in un embrione di 8 settimane. I feti dentro le madri che aspettano di essere sottoposte ad amniocentesi, sono particolarmente irrequieti rispetto a quelli le cui mamme attendono di fare una normale monitorizzazione. Esiste un impressionante filmato dove si vede chiaramente un movimento del braccio del bambino che cerca di scostare da sé l’ago esplorativo, un altro dove il feto scappa a nascondersi sul fondo dell’utero.
    Gli organi dei sensi ed i centri cerebrali corrispondenti, sono già formati sin dalla fine del periodo embrionale.
    L’udito è l’organo di senso che è maggiormente in grado, durante la vita intrauterina, di relazionare il feto al mondo esterno. La sua funzionalità è completa verso la fine del 5° mese di gestazione, ma il bambino è già in grado di riconoscere, per esempio, la voce paterna verso la 16ª, 17ª settimana, come dimostrano, durante gli esami ecografici, i suoi comportamenti e l’accelerazione della frequenza cardiaca quando, fra le diverse voci dei presenti, ode quella del suo papà.
    Il dottor Tomatis, da tempo si occupa di riequilibrare dei bambini e degli adulti mentalmente disturbati facendo loro ascoltare la registrazione della voce materna filtrata in un ambiente acquatico, così come l’udivano attraverso il liquido amniotico.
    La dott.ssa Clements ha studiato le reazione dei feti a diversi tipi di musica: ha potuto constatare che Brahms e Beethoven li agitano, Mozart e Vivaldi li calmano. La musica Rock, con i suoi toni bassi e martellanti, risulta sgradita al feto. Invece al bambino piace udire la voce della propria mamma, soprattutto quando canta: numerose sono le esperienze di riconoscimento, da parte del neonato, dei canti o delle melodie udite durante la vita intrauterina.
    Poiché è stato dimostrato che il bambino si “impasta”, per così dire, della vita emotiva della madre, è evidente che tutto ciò che contribuirà, come un bel brano musicale, a dare gioia e tranquillità a lei, si rifletterà positivamente su di lui.
    Andreé Bertin, Presidente dell’O.M.A.E.P., afferma: “Oggi si sa che ognuna delle tappe della vita influenza quelle successive; gli psicologi lo hanno dimostrato e ognuno ha potuto verificarlo nella propria esistenza o in quella degli altri ... La madre, primo universo del bambino, è per lui, fisicamente e psichicamente, “materia prima vivente”. Ella è, inoltre, la sua mediatrice col mondo. L’essere umano in formazione nell’utero non può imparare direttamente dal mondo esteriore, ma riceve ad ogni istante le sensazioni, i sentimenti ed i pensieri di sua madre che reagisce al mondo; li registra nella sua psiche nascente, nel suo tessuto cellulare e nella sua memoria organica. Queste prime esperienze condivise coloreranno la sua personalità.
    Il bambino che nasce ha già un passato di nove mesi che, in gran parte, determina la persona futura.”.
    Lo psichiatra Canadese Thomas Verny, autore del libro “Vita segreta del bambino prima della nascita” (Ed. Mondadori), organizzò nell’82 il primo congresso internazionale dell’Associazione di Psicologia Pre e Perinatale del Nord America, al quale parteciparono oltre 50 relatori di 9 paesi.
    In quell’occasione egli disse che:
    “Quanto succede dopo la nascita è un’elaborazione di ciò che è successo prima, e da esso dipende” e aggiunse:
    “Il realizzare tutto questo permette di spiegare l’origine degli aspetti più sorprendenti del comportamento del neonato. La sua capacità di rispondere agli abbracci, alle carezze, agli sguardi e ad altri segnali della madre consegue alla lunga consuetudine di un rapporto con lei prima della nascita”.
    Molti studi confermano che in gestazione esiste, tra madre e figlio, un sistema di contatto intrauterino complesso e ricco di sfumature, che si protrae continuando dopo la nascita e che sembra esista anche fra gli animali. I biologi della City University di New York, ad esempio, scoprirono che esiste un sistema di comunicazione prenatale tra una chioccia ed il proprio pulcino ancora nell’uovo, basata su una serie di segnali molto specifici. In seguito notarono che i pulcini covati dalle rispettive madri erano molto più reattivi alle segnalazioni degli adulti e si adattavano molto più facilmente al nuovo ambiente, rispetto a quelli cresciuti in un’incubatrice meccanica.
    Negli anni ’80, ’90 e 2000, medici, psicologi, ostetriche, biofisici, sociologi, studiosi e ricercatori provenienti da tutto il mondo e da varie estrazioni culturali, iniziarono a presentare i risultati delle loro ricerche e delle loro esperienze, scambiandosi le informazioni anche mediante il moltiplicarsi di convegni internazionali, fra i quali ricordiamo i congressi mondiali di Granada nel ’93, Atene nel ’94, Roma nel ’98, Caracas nel 2000, Vienna, Sydney e Milano nel 2001, Njmhegen e Budapest nel 2002 e ancora Roma nel 2003.
    Emerse chiaramente come le esperienze vissute nel grembo materno modellino, dopo la nascita, i comportamenti del bambino nei confronti di se stesso, del bonding con la madre e con il padre, oltre che del suo atteggiamento verso la vita in generale.
    In essi, con conclusioni assolutamente concordi da parte di tutti i maggiori studiosi sul Prenatale, è stato costantemente evidenziato il tema relativo all’importanza della qualità della relazione primaria con la madre per un armonioso sviluppo psicofisico del nascituro e, ancor più recentemente, anche con il padre, oltre al tema che riguarda la partecipazione attiva del feto alla vita emotiva della madre la quale, durante la gestazione “... è per il figlio come una guida al mondo” (Thomas Verny).
    Il feto è un piccolo essere umano, in grado di provare sentimenti ed emozioni, udire, gustare, reagire coerentemente agli stimoli ed interagire con i genitori.
    E’anche in grado di memorizzare e quindi è dotato di capacità cognitive e di apprendimento, come anche riconfermato dalle recenti ricerche del dott. Carlo Valerio Bellieni, pediatra, neonatologo dell’ospedale dell’Università degli Studi di Siena, il quale, sulla linea di alcuni ricercatori (fra i quali ricordiamo il gruppo dei ricercatori dell’Ospedale Hua Chiew di Bangkok), ha condotto una serie di esperimenti sul processo di memorizzazione e di abituazione agli stimoli nei feti. In pratica, il feto muove le braccia, aggrotta le sopracciglia, gira gli occhi sotto le palpebre verso gli stimoli mostrando curiosità ma, successivamente, quando riceve per un numero di volte variabile, generalmente da 3 a 4, gli stimoli a lui già noti, non risponde più, oppure si calma o si addormenta, dimostrando quindi di avere non solo memorizzato, riconosciuto e quindi appreso lo stimolo, ma di essere anche in grado di rispondere coerentemente.
    Il feto gioisce e soffre. L’espressione di pianto è stata registrata durante la 21° settimana in casi di aborto terapeutico.
    Il dott. Bellieni ha compiuto delle ricerche molto significative anche sul dolore fetale. Nel corso del Congresso Internazionale organizzato dall’Anep Italia a Milano nel 2001, ha proiettato un commovente filmato in cui un piccolo prematuro, in pratica un feto partorito due mesi e mezzo prima del previsto, piangeva disperatamente mentre era sottoposto ad un doloroso prelievo dal tallone. Egli però smetteva di piangere e sopportava meglio il dolore quando lo si accarezzava, gli si parlava con affetto e gli si davano contemporaneamente da succhiare acqua e zucchero: vale a dire che aveva il medesimo tipo di comportamento che avrebbe qualsiasi essere umano sottoposto ad accudimenti affettivi ed iperstimolazioni compensative al dolore.
    Inoltre il bambino intrauterino è socievole, comunicativo ed è in grado di stabilire relazioni affettive durevoli nel tempo. La dottoressa Alessandra Piontelli di Milano ha compiuto degli studi ecografici molto interessanti sui gemelli a partire dalla 20ª settimana. Ha osservato per diverse ore al giorno il loro comportamento riportando degli episodi davvero curiosi.
    Tra i tanti ne segnalo uno particolarmente divertente ed anche molto significativo. Luca ed Alice avevano stabilito in utero un rapporto affettuoso e giocoso: Luca, più vivace ed attivo, andava verso la membrana che lo divideva dalla sorellina e la svegliava gentilmente. Un incredibile, meraviglioso dialogo-gioco avveniva tra i due che prendevano a strofinarsi le teste e si contattavano attraverso la membrana appoggiandosi guancia a guancia, come se volessero abbracciarsi.
    Questo comportamento fu poi ripreso da Luca ed Alice al termine del loro primo anno di vita. Andavano verso una tenda, che fungeva da membrana e ripetevano l’amorevole gestualità che aveva caratterizzato la loro relazione intrauterina, dimostrando così di possedere una capacità relazionale ed affettiva che continuava nel tempo.
    Benché l’ultimo trimestre della gravidanza venga di solito indicato come quello in cui siano attuabili un maggior numero d’interazioni tra madre e figlio, e sia possibile trasmettergli in modo più esplicito i sentimenti dell’accettazione, della gioia e dell’amore, indispensabili per il suo equilibrio psicologico, molti studi ci dimostrano, come vedremo, che l’accettazione e la relazione con la madre sono invece risentite e vissute dal feto, via psichica e biofisica, molto più precocemente, addirittura sin dall’inizio della gravidanza.
    I risultati degli studi e delle ricerche riferiscono che le emozioni della madre si comunicano al nascituro via empatica mediante un processo d’impregnazione e di trasmissione psichica, ma anche via ormonale e via battito cardiaco sin dalle prime settimane di vita: se quest’ultimo, ad esempio, è stato accelerato da una forte emozione, anche il cuore del figlio comincerà a pulsare più velocemente rispetto a prima.
    Si riscontrano modificazioni del battito cardiaco, dimostrazioni di gioia, tristezza, rifiuto, un’espressiva mimica facciale ed una coerente gestualità non solo come reazione a tutto ciò che vive la madre, ma anche alle variazioni dell’ambiente immediatamente circostante. Oltre a mostrare di possedere delle preferenze musicali, si è potuto anche appurare come egli dimostri di gradire o di non amare determinati visitatori familiari evidenziando le stesse simpatie ed antipatie della madre.
    Inoltre non ama i contesti ambientali che gli propongono suoni sgradevoli e rumori improvvisi: è da notare che i suoni e i rumori giungono a lui deformati e amplificati dal liquido amniotico in cui è immerso (come riportato dal dott. Ernesto Tajani, del dipartimento di Neonatologia dell’Ospedale di Terlizzi), e non attutiti come si è creduto fino a pochi anni orsono.
    In risposta agli stimoli, e in base al loro gradimento, il feto sorride, ammicca con gli occhi, sbadiglia, oppure scalcia, fa le smorfie, o decide di ignorare lo stimolo addormentandosi o girandosi di schiena.
    L’ansia e lo stress materno inducono delle variazioni nella produzione ormonale: gli ormoni dello stress da lei prodotti, catecolamine e adrenalina, invaderanno il sistema del bambino rendendolo nervoso ed eccitato, in pratica, facendo entrare pure lui in stato di stress.
    Per contro anche le emozioni gioiose della madre raggiungono il feto: un benefico e rivitalizzante flusso di endorfine viene inviato al figlio ogni volta che essa è felice o lo pensa con amore.
    Ciò che sembrerebbe mettere realmente in pericolo il nascituro, non sono gli stress occasionali, né sporadici momenti d’ansia o di paura, né tantomeno un evento tragico, fosse pure il decesso di un familiare della gestante: ciò che potrebbe seriamente influenzare negativamente lo sviluppo psicofisico del feto è l’intensità di uno stress prolungato accompagnato dal senso d’abbandono che la madre gli potrebbe comunicare se in quella circostanza interrompesse per molto tempo, o del tutto, il contatto affettivo e rassicurante.
    Thomas Verny sostiene che:
    “Quello che mette più in pericolo il nascituro, non è tanto la reazione fisico-ormonale immediata della madre ad un avvenimento tragico, quanto la reazione successiva a livello emotivo se è a lungo termine. Se la donna rimane tanto sconvolta dal dolore e dalla perdita da rinchiudersi in se stessa, il bambino ne soffrirà terribilmente. Ma se, invece, mantiene aperti i canali di comunicazione con il figlio inviandogli messaggi rassicuranti, il bambino potrà continuare a crescere rigoglioso”.
    Il rischio di abbandonare affettivamente il bambino sembrerebbe essere più forte nel caso di decesso del compagno nel corso della gestazione. Infatti, gli studi compiuti in Finlandia da Huttunen e Nykannen (1978), citati dal dott. Jeno Raffai, psicologo prenatale specializzato nell’analisi del bonding, riferiscono che su due gruppi di bambini, di cui gli appartenenti al primo avevano perso il padre durante la gestazione, mentre quelli del secondo soltanto dopo la nascita, a distanza di tempo i bambini del primo gruppo mostrarono problemi psicotici in percentuale molto più elevata rispetto agli altri.
    Personalmente, in base all’esperienza che ho potuto fare nei nostri corsi rivolti alle gestanti, sono in linea di massima propensa a ritenere valido quanto sostiene Verny e cioè che il bambino in gestazione non risentirà più di un tanto, nella sua salute fisica e psicologica, di un eventuale trauma subito dalla madre purché essa continui ad occuparsi affettivamente di lui.
    L’elaborazione di un grande lutto è sempre un avvenimento complesso, nel quale possono esserci infinite variabili alla sofferenza, la cui intensità e durata dipendono dalla valenza che ciascuno attribuisce a ciò che perde. Nel caso, ad esempio, di morte del partner, l’intensità e la durata del dolore sono soggettive perché dipendono massimamente dal tipo di relazione affettiva ed emozionale che il coniuge superstite aveva intrecciato con lui.
    A volte, il dolore causato da un evento tragico può essere così intenso da spegnere a lungo, o per sempre, ogni altro desiderio o iniziativa; a volte, invece, è possibile che ciò non avvenga, come si evince da quanto afferma Verny.
    Tuttavia, in entrambi i casi, come peraltro confermato anche dalla mia esperienza sia pure indiretta, una buona qualità della relazione prenatale tra madre e figlio, preesistente al tragico evento, svolge un ruolo di primaria importanza ai fini di un migliore superamento del lutto e del buon andamento della relazione madre-bambino. Una madre che abbia desiderato il suo bambino, o quantomeno abbia creato un buon bonding prenatale con lui, riesce più facilmente, rispetto a chi non si era ben relazionata o aveva sino ad allora ignorato affettivamente il piccolo, a far fronte ad un evento traumatico, fosse anche il doloroso processo di un lutto, e a mantenere con il suo bimbo intrauterino un contatto affettivo sufficientemente buono, ad accudirlo, e quindi a proteggerlo dai possibili danni derivanti da quell’accadimento drammatico.
    Per quanto riguarda il bambino, sarà proprio grazie alla continuità dello scambio affettivo con la madre che egli riceverà la protezione necessaria per attraversare la tempesta emozionale che la scuote, con tutto ciò che può comportare per lui, non solo dal punto di vista della comunicazione psichica, ma anche a livello dei possibili effetti creati dalle variazioni nella produzione ormonale materna conseguenti al trauma in atto.
    In oltre venticinque anni accanto ai genitori, mi è talvolta capitato di seguire qualche gestante in grave lutto per la perdita del compagno. Parlando di perdita intendo non solo il decesso ma anche l’abbandono da parte del partner.Ho anche seguito diversi casi di gestanti in lutto, ad esempio per la morte di un genitore, di un parente o di un amico molto amato.
    Effettivamente, fra quelle donne depresse e sofferenti, in stato di stress acuto, quelle che erano già molto relazionate al loro bambino ed avevano creato un buon attaccamento con lui, hanno tratto conforto da quel legame con il figlio e sono riuscite a mantenere un positivo, amorevole e costante contatto affettivo con il loro piccolo: i loro bambini non hanno evidenziato particolari problemi durante quello che il ginecologo francese Michel Odent definisce “il periodo primale”, quello cioè che includendo la vita fetale e la nascita, comprende tutto il primo anno di vita del bambino.
    Invece quelle che sino ad allora si erano relazionate in modo discontinuo, ambivalente e poco gioioso con lui, riuscivano con maggiore difficoltà a gestire l’intensità della tempesta emozionale e della depressione. Erano per la maggior parte del tempo in stato di stress, piangevano molto ed hanno avuto tutte, ma proprio tutte, dei parti problematici, dei bambini che piangevano molto anche loro o erano affetti dalla sindrome di Kipp (alternanza di apatia e pianto iperattivo), avevano grossi problemi con l’addormentamento, il sonno e l’alimentazione. Aggiungo che in caso di lutto per la morte di una persona cara alla gestante, il ruolo del partner, cioè il tipo di contenimento e di sostegno offerto alla compagna, risulta essere di fondamentale importanza perché può grandemente influenzare la sua situazione psicologica ed emozionale, come emerge chiaramente dai questionari e dal racconto dei vissuti nel corso del lavoro di gruppo.
    Un'importante ricerca condotta nel 1990 dal Prof. Zuckerman su 1.312 madri con depressione in gravidanza, riconfermò che alla nascita i loro bambini piangevano continuamente e sconsolatamente per i primi giorni, raggiungendo i medesimi livelli di depressione della madre.
    Oltre all’impregnazione psichica del trauma materno da parte del bambino, è evidente che, lo stress materno, facendo aumentare la produzione di adrenalina e di catecolamine, che si comunicano al feto, quando è troppo intenso o si protrae troppo a lungo oltrepassando la soglia di tolleranza del bambino, produce degli effetti nefasti su quest’ultimo.
    Gli studi e le ricerche compiute nel corso degli ultimi venti anni a Heidelberg dal dott. Terence Dowling, premio Hans Graber per la ricerca, hanno messo chiaramente in evidenza la correlazione fra trauma prenatale, produzione ormonale e malattia psicosomatica. Egli ha studiato gli effetti di varie fonti di stress e di trauma per il feto durante la gestazione, il travaglio e il parto. Ha potuto constatare che se il bambino oltrepassa la sua capacità di tolleranza ad uno stimolo per lui negativo, cioè subisce ciò che viene chiamato uno stress transmarginale, in lui si verificherà una reazione di difesa paradossale, che si esprimerà anche a livello biofisico e che darà inizio ad una reazione psicosomatica, o implosione psicosomatica, la quale, a sua volta, potrà dare origine a diverse patologie, fra le quali, nei casi estremi, l’autismo. Dowling sottolinea l’importanza di sapere riconoscere, nel neonato, i segni indicativi dello stress subito mediante l’osservazione di alcuni suoi patterns comportamentali, in modo tale da potere immediatamente intervenire con adeguate terapie compensative. Egli aggiunge che i danni derivanti da un trauma prenatale e alla nascita possono essere grandemente limitati e, a volte, anche eliminati nelle loro conseguenze più devastanti, quando si interviene rapidamente e se i genitori propongono premurosamente al bambino, in modo quasi continuativo nei primi tempi dell’esogestazione, una buona qualità di accudimenti affettivi. La mia esperienza diretta con i genitori conferma quanto sopra.
    Il noto ginecologo francese Michel Odent, autore di numerosi libri sulla gravidanza e sul parto, sostiene che svariate sono le situazioni che creano dei problemi durante il travaglio e il parto ma sicuramente una delle principali si verifica quando c’è impossibilità della donna di vivere il travaglio in situazioni che la facciano sentire al sicuro, non osservata e libera di muoversi, ma soprattutto di esprimersi e lasciarsi andare. Vale a dire che il rischio di complicazioni aumenta proporzionalmente al controllo che viene esercitato su di lei e che lei stessa esercita su di sé.
    Lunghi e stressanti travagli, possibile conseguente somministrazione di farmaci, manovre ostetriche e taglio cesareo sarebbero, secondo Dowling, tutte situazioni passibili di causare un’implosione psicosomatica al nascituro. Egli sottolinea l’importanza di sapere riconoscere nel neonato, già alla nascita, i segni indicativi dello stress transmarginale subito mediante un metodo, da lui messo a punto nel corso della sua lunga esperienza, basato sull’osservazione di alcuni patterns comportamentali, in modo tale da potere immediatamente intervenire con adeguate terapie compensative. Egli aggiunge che i danni derivanti da un trauma prenatale e alla nascita, possono essere grandemente limitati e, a volte, anche eliminati nelle loro conseguenze più devastanti, quando si interviene rapidamente e se i genitori offrono premurosamente al bambino, in modo quasi continuativo nei primi tempi dell’esogestazione, una buona qualità di accadimenti affettivi.
    La mia esperienza diretta con i genitori conferma quanto sopra.
    Nel 1994 il prof. Brezinka condusse in Austria uno studio su 27 donne che si sono accorte di essere in gestazione solo quando è iniziato il travaglio. I risultati sono: 4 morti fetali, 3 nascite pretermine, 1 morte del bambino alla nascita, 1 bambino ritardato. Questo studio dimostra chiaramente che quando il bambino è un’astrazione e l’utero è vissuto come vuoto, lo sviluppo del bambino risulta essere variamente compromesso.
    Il dott. Ludwig Janus, medico chirurgo, psicanalista e psicologo prenatale, Presidente dell’ISPPPM (International Society of Prenatal and Perinatal Psychology and Medicine) a Heidelberg, riferisce che i due terzi dei suoi pazienti adulti sottoposti a psicoterapia, avevano subito traumi psicologici risalenti alla vita prenatale e perinatale. Sono ormai numerosissimi gli psichiatri e gli psicoterapeuti che, riscontrando questa medesima situazione nel corso delle terapie, hanno presentato nelle sedi congressuali, o pubblicato, i risultati delle loro esperienze, avvalorati da un numero considerevole di significativi, e direi anche impressionanti, casi clinici.
    In seguito a tutto ciò che si è scoperto sulla vita intrauterina, appare evidente che occorrerà rivedere e modificare tanti parametri di valutazione nei confronti del disturbo mentale e psicosomatico: moltissimi medici e psicoterapeuti lo stanno già facendo da tempo, includendo il periodo gestazionale, la nascita e la prima accoglienza nell’anamnesi dei loro pazienti.
    Sono stati compiuti numerosi studi sulle drammatiche conseguenze del rifiuto, a breve e lungo termine. Già nel 1974 gli studi condotti dal dott. Rottman sui bambini rifiutati, quindi ignorati durante la loro vita intrauterina e comunque non accuditi o che avevano ricevuto un comportamento aggressivo da parte della madre, riferivano che essi, alla nascita erano affetti dalla sindrome di Kipp. Inoltre avevano avuto nascite difficoltose e fra essi c’era stato un alto numero di nascite pretermine.
    Su quest’argomento il Prof. P. Fedor Freyberg dell’Università di Uppsala, medico, filosofo e studioso del prenatale, così si esprime:
    “I bambini non desiderati sono moralmente a rischio e rappresentano una minaccia morale per la società. Il bambino ideale dovrebbe essere amato già prima della nascita. Non dovrebbero esserci dei bambini non desiderati.”.
    Egli aggiunge anche:
    “Finché non adotteremo un diverso approccio mentale e sociale nei confronti della vita prenatale, tutti i cambiamenti positivi sulla faccia del mondo saranno superficiali ed esisterà sempre il pericolo di minacce contro i bisogni e i diritti umani di base, contro i valori culturali e tradizionali, contro la civilizzazione e la libertà.
    La visione ottimale da tenere presente è quella di una società che nutra grande rispetto per la vita, espressa da ogni individuo, in modo da ottenere un mondo non violento e socialmente sano”.
    Il prof. Freyberg sostiene che i neonati che hanno avuto un rapporto giusto con la madre durante la gravidanza, sono invariabilmente attirati dal seno materno. Egli, tra gli altri, cita l’episodio di Kristina che inspiegabilmente, invece, lo respingeva voltando la testa ogni volta che le veniva offerto dalla madre. Accettava, al contrario, volentieri la bottiglia di latte artificiale. In seguito si appurò che la donna non aveva desiderato la figlia ed aveva cercato di abortirla nel corso delle prime settimane di gestazione. Evidentemente Kristina, da lungo tempo consapevole del rifiuto della madre, aveva preso a respingerla lei stessa ancor prima di nascere. Tra i molti episodi citati da Freyberg ho scelto questo perché mi è sembrato particolarmente significativo.
    Il rifiuto porta al rifiuto e, nelle sue estreme conseguenze, all’odio e alla violenza. Dietro una persona violenta c’è sempre una storia dove ad un certo punto si evidenzia un freddo buco nero, uno spazio di vita che non è stato quello che avrebbe dovuto essere, caldo, accogliente, amorevole. Per molti adolescenti drogati o criminali, per molti bambini e adulti aggressivi o mentalmente disturbati, questo spazio gelido è stato l’utero materno.
    Ancora Freyberg:
    “La storia dell’umanità è anche la storia di bambini e questa storia inizia con l’inizio della vita, al momento del concepimento…è giunto il momento per una nuova presa di coscienza da parte della società, in cui lo stadio prenatale e perinatale venga riconosciuto come il periodo più cruciale e decisivo della vita umana.”.
    Il fatto che l’atteggiamento triste o gioioso, di rifiuto o di accettazione della gravidanza da parte della madre, viene ricevuto dal feto mediante le variazioni ormonali e la comunicazione psichica che essa instaura con lui a livello profondo sin dall’inizio della gestazione è stato accertato e provato anche mediante esperienze dirette con gruppi di genitori. Negli anni che vanno dal 1979 al 1998, il Prof. Réné Van der Karr mise a punto e condusse un protocollo sperimentale con le gestanti dei suoi corsi presso la Clinica Ostetrica Ginecologica dell’Università di Hayward (California). I risultati indicano che durante la loro vita prenatale i bambini sottoposti dalle loro mamme al programma giornaliero di accudimenti previsto dal protocollo dei loro corsi di preparazione al parto (dialogo, carezze, ninnenanne, cullamenti), dopo la nascita possedevano precoci capacità cognitive e verbali e, in generale, una maturazione precoce, come dimostrato dal punteggio Apgar e dalla crescita dei dentini.
    A Caracas la psicologa Beatriz Manrique ha condotto uno studio sperimentale su 600 gestanti. Esse parteciparono ad un corso di 13 settimane, durante le quali vennero aiutate ad apprendere delle tecniche di comunicazione con il loro bambino. In seguito, rispetto a quelli nati da madri che non avevano partecipato a questo corso, i bambini stimolati durante la vita intrauterina mostrarono, dopo la nascita, migliori capacità visive, uditive, verbali, di memoria e motorie. Inoltre le madri dimostrarono di avere un legame più intenso e sicuro con il loro bambino, oltre che ad avere un maggiore successo nell’allattamento al seno.
    Analoghe esperienze, con i medesimi risultati, sono state condotte dal Prof. Panthuraaphorn e il suo gruppo di ricercatori, con 120 gestanti nel Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Hua Chiew di Bangkok.
    Tuttavia è importante sottolineare che le sporadiche, leggere ambivalenze all’inizio del primo trimestre nei confronti della gestazione e/o del bambino sono del tutto normali, direi quasi che sono una caratteristica e una costante, soprattutto nelle coppie giovani in attesa del primo figlio, e non comportano seri problemi per lo sviluppo psicofisico del nascituro.
    Ho volutamente usato il termine “coppie” perché gli studi più recenti stanno dimostrando come anche le ambivalenze paterne possano svolgere una parte considerevole nella crescita psicofisica del bambino, così come, più in generale, il modo in cui egli gestirà durante tutta la gravidanza della compagna il suo ruolo all’interno della coppia e quello, nuovissimo, di genitore.
    Alcuni anni fa Thomas Verny aveva detto a proposito del ruolo del padre durante la gestazione:
    “Il rapporto con un uomo sensibile e che la ami dà alla donna un sostegno emotivo continuo nel periodo della gestazione ... Ora che abbiamo scoperto l’importanza della sicurezza emotiva e del nutrimento spirituale che la donna e, di conseguenza, il bimbo che porta in grembo ricevono durante la gravidanza, l’uomo può finalmente ritrovare il giusto ruolo che gli compete”.
    Più recentemente, grazie ai nuovi studi e alle nuove ricerche condotte sul ruolo e le competenze del padre durante la gravidanza, si è potuto appurare che la sua funzione e la sua influenza sul figlio prenatale, come vedremo più avanti, sono molto più dirette e attive anche a livello del mondo psichico del bambino, rispetto a ciò che si era creduto fino a pochi anni orsono (H. Alberti; E. Fivaz; M. Odent; J. Raffai; J. P. Rélier; D. Stern; G. C. Zavattini ed altri).
    Tutte queste nuove informazioni raccolte, stanno dando il via ad una rivoluzione culturale che configurerà in modo diverso non solo i ruoli materni in gravidanza ma anche quelli del padre.
    Da esse emerge che il bambino ha bisogno di essere accettato ed amato sin dalle sue prime settimane di vita intrauterina non soltanto dalla madre ma da entrambi i genitori congiuntamente. Occorre anche che essi gli parlino spesso e amorevolmente, specialmente a partire dal 4°, 5° mese, che lo cullino e lo accarezzino, facendolo sentire parte della famiglia e non “in attesa di partecipare”, quasi che l’inizio della relazione fosse possibile solo nel momento dell’incontro visivo: non è così! Il bambino entra in relazione direttamente e concretamente con i genitori sin dal concepimento, diventando sempre più partecipe e interattivo proporzionalmente al procedere della gestazione e alla disponibilità del genitore.
    A proposito della responsabilità dei genitori nei confronti delle esperienze che essi propongono al figlio durante la gestazione, Andreé Bertin, Presidente dell’Omaep, si rivolge soprattutto alla madre.
    “Oggigiorno sappiamo che la coscienza della madre è in grado di rendere positiva l’educazione che avviene nel bambino durante la gravidanza in maniera del tutto naturale. In altri termini, ella può alimentare con informazioni positive la banca dei dati che si costituisce a livello cellulare dal momento del concepimento del proprio bambino. Grazie alla qualità dei propri sentimenti e dei propri pensieri, la futura madre può introdurre più ordine, più salute e più stabilità ed adattabilità, sia nello psichismo, sia nella materia stessa con cui costruisce il corpo del bambino. Sapendo tutto ciò, la madre abbandonerà la propria vita interiore alle oscillazioni dell’esistenza o deciderà di orientarla in una direzione più favorevole al bambino? Con gioia per ciò che è possibile e senza alcun senso di colpa per ciò che non lo è...
    Leggendo queste affermazioni di Andrée Bertin, sembrerebbe esserci una contraddizione con quanto si è appena affermato sull’importanza della partecipazione e del contributo del padre, ma è solo apparente. In effetti, la figura della madre attualmente sembrerebbe restare ancora il massimo punto di riferimento per il bambino durante tutta la sua vita prenatale, però ad essa si sta recentemente, ma clamorosamente, affiancando la figura paterna, con la sua influenza, i suoi ruoli e le sue competenze, diverse da quelle della madre ma esse pure fondamentali. Probabilmente occorrerà ancora molto tempo prima che si possano conoscere più dettagliatamente i termini, i limiti, le conseguenze e le nuove prospettive che tutto ciò porterà nel futuro dei bambini e degli adulti.
    Sono ormai così numerosi i dati scientifici risultati dalle ricerche e dalle sperimentazioni da parte di studiosi di tutto il mondo, ed è così evidente il fermento suscitato da questo nuovo sapere, che i congressi, i seminari di aggiornamento, le conferenze, le pubblicazioni si stanno susseguendo a ritmo battente.
    E’ quasi un tam tam d’informazioni e di dati che attualmente echeggiano da una nazione all’altra. Dal 2000 in poi, gli studi sul prenatale sembrano addirittura essersi moltiplicati. Provengono da Stati Uniti, Canada, Inghilterra, Francia, Svezia, Germania, Austria, Nuova Zelanda, Spagna, Svizzera, Italia… tutti riconfermano continuamente, aggiungendo nuovi dati, questa stupefacente dimensione ed immagine della gravidanza.
    E’ come se, di fronte a questa nuova visione del feto, si risvegliasse in ciascuno di noi il bambino che tutti siamo stati per nove mesi ed i nostri cuori prendessero a battere all’unisono in un unico immenso cuore che affratella le conoscenze, riconferma le nostre esperienze ed acquisizioni e ci sospinge, sull’onda di un comune amore per la ricerca, la verità e l’infanzia, verso il grembo materno, alla riscoperta anche di noi stessi e dei nostri stessi vissuti, con un entusiasmo ed un interesse direi quasi collettivo.
    Sono studi sicuramente destinati, nel tempo, a rivoluzionare i nostri criteri nella scelta delle esperienze e dei vissuti che circonderanno e nutriranno la creatura che vedrà la luce.
    In un’epoca in cui ci preoccupiamo molto dei diritti dell’uomo e del bambino, non parrebbe logico pensare che il primo dei diritti di un essere umano è quello di essere desiderato e amato e quindi che gli siano proposti un concepimento, una gestazione ed una nascita in grado di offrirgli, sin dall’inizio del suo cammino, le migliori premesse e le condizioni più favorevoli per la sua crescita?
    Ci sono circa 90 milioni di bambini che ogni anno nascono nel mondo. Sta finalmente approssimandosi il tempo in cui non si potranno più ignorare le straordinarie ed innate capacità di questi bambini, il potere indagante della loro mente, la loro sensibilità, le loro abilità, la loro intelligenza.
    L’attivazione di aree di aggiornamento scientifico e di prevenzione, nelle Università, negli ospedali e nei consultori è sempre più sentito. Verrà sicuramente anche il tempo in cui si realizzerà quanto auspicato dal prof. P. F. Freyberg:
    “Al fine di poter compiere una scelta informata e senza stress, l’educazione alla pianificazione familiare dovrebbe iniziare molto prima del concepimento.
    Essere genitori responsabili non è un dono concesso dalla natura o un talento facilmente acquisibile.
    La capacità genitoriale spesso deve essere appresa“.
    Egli continua sostenendo che:
    “C’è bisogno di compiere ricerche sugli interventi socio-pedagogici all’interno della famiglia e nei sistemi educativi. E’ molto importante che i curricula universitari dei corsi di medicina e psicologia vengano integrati con gli studi prenatali e perinatali.
    E’ necessario mettere a punto un nuovo sistema educativo in grado di preparare gli individui a diventare dei genitori coscienti“.
    Le esperienze che l’ANEP Italia ha condotto in alcune scuole negli anni 2000, 01, 02 e 03 con gli adolescenti delle classi superiori, confermano che i giovani, che sono i futuri genitori e vivono già situazioni affettive che potrebbero, potenzialmente, avviare una gravidanza indesiderata, per lo più ignorano, o conoscono pochissimo e in modo molto approssimativo, le tematiche relative alla sessualità nella relazione di coppia, alla contraccezione, alla gravidanza, all’esperienza prenatale, al parto, al loro futuro ruolo genitoriale e ai bisogni del bambino sia durante la sua vita intrauterina che dopo la nascita.
    Per contro, come risulta dai questionari compilati e dalla qualità di attenzione prestata durante gli incontri, essi hanno affermato che gli argomenti proposti erano estremamente utili e interessanti, tanto è vero che in alcune classi gli studenti hanno chiesto di poterli ulteriormente approfondire.


    Se un bambino
    durante i primi nove mesi della sua esistenza intrauterina
    non è stato voluto
    perché è stato concepito irresponsabilmente…
    durante la gravidanza ha subito il rifiuto e l’insofferenza materna
    perché non era desiderato…
    non è stato ascoltato
    perché i suoi genitori hanno creduto che fosse incapace di comunicare…
    non è stato capito
    perché non è stato ascoltato…
    non è stato accarezzato
    perché hanno pensato che fosse insensibile…
    non è stato accudito
    perché non è stato desiderato, ascoltato, capito e coccolato …
    questo bambino, che non è mai stato accolto,
    nascerà e crescerà pensando di valere poco,
    non si rispetterà e non amerà se stesso,
    perché non è mai stato rispettato e amato
    sin dall’alba della sua esistenza,
    quando per la prima volta si è affacciato alla vita
    nel grembo di sua madre.
    G. A. Ferrari


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  2. sorema
     
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    L'importanza dell'accettazione prenatale del nascituro, è certamente indubbia. Ma, converrete con me, l'evantuale non accettazione di uno stato di gravidanza, cioè la non accettazione della presenza viva del bambino, non può in alcun modo giustificare l'uccisione del bambino, tramite aborto, ancor meno motivandola con un'eventuale crescita "sfiduciata" del bimbo. Testimonianze (ne abbiamo una sul nostro sito) confermano, che un bambino, pur se non accolto dai genitori, anche se abbandonato in istituto, ovvero non riconosciuto, opportunamente stimolato dall'amore di genitori adottivi, sviluppa una personalità positiva e si affaccia alla vita grato dell'esperienza d'amore ricevuta. Chiaramente, chi prima può fare esperienza di questo amore, parte avvantaggiato.
    Sorema
     
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  3. lauracast
     
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    Come esseri umani abiamo risorse innumerevoli e abbiamo la possibilità di compensare molto bene. Certamente, come capita per una ferita sulla pelle, spesso si recupera la "funzione" ma non si può cancellare una "cicatrice" psichica, possiamo solo COMPENSARE con risorse endogene ed esogene (e questo non riesce sempre così bene...). Sicuramente però, meglio dare una possibilità a questo individuo piuttosto che abortirlo, dopotutto se ha scelto di venire al mondo, magari in una situazione di m., significa che è un tipo tosto e coraggioso!
     
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2 replies since 28/7/2005, 17:47   4417 views
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